Ultimo Aggiornamento:
24 aprile 2024
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Fatti e politica – il fact-checking ha un futuro in Italia?

Lo staff di "Pagella Politica" * - 16.12.2014
Fact-checking

Il controllo della veridicità delle dichiarazioni dei politici da parte di organizzazioni imparziali e dedite esclusivamente a tale attività è esploso negli Stati Uniti a partire dallo scorso decennio. Durante le presidenziali statunitensi la visibilità dei principali fact-checker è ormai diventata enorme, tanto che il fact-checking è entrato a far parte del linguaggio politico. Nel 2004, durante il dibattito vice-presidenziale, Dick Cheney tentò di difendere le proprie posizioni di fronte ad Halliburton, citando  il sito Factcheck.org. Durante le elezioni del 2012 lo staff di Obama rispondeva alle segnalazioni dei fact-checkers, mentre il team del rivale Romney annunciava: “non lasceremo che la nostra agenda sia dettata dai fact-checker”. Le presidenziali del 2016 sono lontane, ma il possibile candidato Jeb Bush annuncia fin da ora: “I know I am going to be PolitiFacted”, trasformando in verbo il nome del sito vincitore del Premio Pulitzer 2009.

A partire dalle origini a stelle e strisce, il fact-checking si è espanso in tutto il mondo. Un’analisi dell’università di Duke ha rilevato quest’anno 44 siti di fact-checking operativi in giro per il globo, un numero che ha continuato a crescere. Ad oggi il fact-checking è diffuso dalla Turchia all’Australia, dalla Finlandia all’Argentina. Ed è da questa crescente internazionalizzazione che sono nate interessanti collaborazioni come il “G20factcheckathon”.

In Italia è solo nel 2012 che nascono siti totalmente dedicati alla verifica dei fatti ispirati al modello USA. In occasione delle elezioni politiche del 2013 il fact-checking divenne di moda e numerosi quotidiani e tv iniziarono ad ospitare rubriche dedicate; sembrava che il momento del fact-checking in Italia fosse finalmente arrivato. E invece, l’attenzione si è sopita e il metodo è rimasto relativamente di nicchia.

 

Vantaggi e limiti del fact-checking

 

In Paesi come il nostro, dove le divergenze politiche prendono spesso la forma di uno scontro tra tifoserie, il fact-checking può fungere da punto di contatto. Partire da numeri e fatti oggettivi può almeno fornire una base condivisa su cui impostare dibattiti costruttivi.

Il fact-checking, inoltre, fornendo un controllo delle affermazioni dei politici, può e deve essere un modo per promuovere l’accountability, un termine talmente straniero da non essere ancora stato tradotto in italiano.

Infine, la circolazione delle notizie sul web, sempre più rapida e incontrollata, va in molti casi a scapito della precisione. In questo senso il fact-checking può contribuire a promuovere una cultura dell’attenzione ai ‘dati’ e all’attendibilità delle fonti.

Non possiamo però nascondere che lo strumento ha dei limiti, anche seri. Il fact-checking può infatti facilmente tramutarsi in “gotcha journalism”, ovvero giornalismo volto a incastrare o svergognare qualcuno. In questo senso il rischio è di alimentare una già innata diffidenza degli italiani verso la politica. Non sorprende quindi che su Pagella Politica le analisi di gran lunga più lette sono quelle a cui è stato attribuito il verdetto di “Panzana Pazzesca”.

Inoltre, occorre sottolineare che certificare la veridicità di un fatto non equivale a confermare il valore della tesi sostenuta da quel dato. Il fact-checking, con i suoi verdetti, rischia di sembrare un endorsement di una valutazione politica, laddove si limita invece a verificarne i dati.

 

Reazioni dei lettori e futuro

 

I lettori sono spesso restii ad modificare i propri pregiudizi, anche di fronte a dati oggettivi che li contestano in maniera inequivocabile (e numerosi studi lo confermano). Un convinto sostenitore del “Basta euro”, ad esempio, difficilmente crederà ad un articolo di fact-checking che spiega che con l’euro i prezzi non sono raddoppiati.

Per quanto riguarda invece le reazioni dei politici, siamo ancora lontani (ma non troppo) da ciò che avviene negli Stati Uniti. Mario Monti, ospite da Bruno Vespa, si è vantato di aver ricevuto buoni voti al fact-checking mentre Renato Brunetta retwitta ogni “Vero” che ottiene su Pagella Politica. Sono pochi invece i casi dei politici che correggono o ritirano le proprie affermazioni alla luce dei risultati dei fact-checking: tra questi, Luigi Di Maio, che ha ammesso di essersi sbagliato sul numero di agenti infetti di tbc in diretta su Radio24.

 

Il fact-checking ha un futuro in Italia?

 

E’ forse ancora presto per dirlo. Il fact-checking in Italia non è finanziato da grandi fondazioni (come invece per FactCheck.org o Full Fact nel Regno Unito), né è sostenuto da grossi gruppi editoriali (come in Francia o in Sudafrica). Le risorse umane ed economiche dedicate al fact-checking sono quindi ancora limitate.

Una questione chiave per valutare l’impatto del fact-checking sul “mercato” del dibattito politico è capire se la sua azione interviene sull’offerta (le dichiarazioni dei politici) o sulla domanda (le attitudini degli elettori verso i mentitori “seriali”). Sarà difficile – se non impossibile – valutare l’impatto della nostra attività sul comportamento degli elettori, ma sarà facile misurare l’impatto sul comportamento dei politici. Già negli Stati Uniti numerosi studi hanno monitorato politici che sapevano di essere sottoposti al fact-checking per registrare se usavano i dati con maggiore precisione.

 

Ci sono sicuramente degli aspetti del sistema politico americano che favoriscono l’uso del fact-checking: il netto bipolarismo, il frequente uso dei dibattiti, il maggiore ricorso all’open data. Ma se il fact-checking ha catturato l’attenzione di lettori dall’Egitto alla Germania, dal Cile al Sudafrica, non c’è ragione per cui non possa farlo anche in Italia.

 

 

 

 

* Pagella Politica (www.pagellapolitica.it) è il principale sito di fact-checking politico in Italia.