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Elezioni legislative 2017 in Algeria: tra apatia e disincanto

Caterina Roggero * - 03.05.2017
Elezioni Algeria 2017

Il prossimo 4 maggio in Algeria 23 milioni di cittadini – su un totale di 40 milioni circa di abitanti – si recheranno alle urne per rinnovare l’Assemblea popolare nazionale (APN), eleggendone i 462 nuovi deputati. Da quando a inizio aprile la campagna per le legislative è stata inaugurata, nonostante il dispiegamento di mezzi da parte di partiti, organi di governo e persino leader religiosi per motivare la cittadinanza al voto, l’apatia e il disincanto nei confronti del quinquennale appuntamento elettorale regnano sovrani. Gli analisti sul campo raccontano che in questi giorni, per le strade di Algeri, il dibattito sia particolarmente acceso non tanto sullo scrutinio nazionale ormai alle porte, quanto sul ballottaggio delle presidenziali francesi. Per inciso, le preferenze di autorità e semplici cittadini convergono su Emmanuel Macron: l’unico tra i candidati a essersi recato in Algeria durante la campagna e soprattutto il solo ad aver “osato” giudicare pubblicamente i 132 anni di colonizzazione francese nel paese maghrebino come un “crimine contro l’umanità” (gli algerini, si sa, sono ancora in attesa delle scuse ufficiali di Parigi per la lunga parentesi della loro storia recente vissuta sotto il dominio della potenza europea).

Quale partito o quale alleanza di partiti vincerà in Algeria, invece, non interessa veramente granché: l’unico vero risultato atteso di questa tornata elettorale è quello riguardante il tasso di affluenza. Se meno del 30% degli aventi diritto si recherà alle urne – percentuale plausibile secondo alcuni osservatori, viste anche le precedenti legislative del 2012, quando persino in un momento di effervescenza politica nell’intera regione all’indomani delle Primavere arabe, la partecipazione si attestò su uno scarso 42,9% – la giustificazione delle elezioni come momento di affermazione democratica per l’intero “sistema”, vissuto dalla maggioranza degli algerini come completamente autoriferito, farà fatica ad affermarsi sia sul piano interno, che su quello delle relazioni internazionali.

Ma come mai tanta indifferenza per delle elezioni multipartitiche e pressoché libere in un paese che, in teoria, dovrebbe mostrare i segni di un certo entusiasmo nei confronti di tali pratiche, avendole adottate da poco meno di trent’anni, dopo averne passati praticamente altrettanti sotto il regime di un partito unico?

Una risposta potrebbe provenire proprio guardando a quest’ultimo, il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN). Un movimento/partito che ha conquistato l’indipendenza nel 1962 e che, grazie all’aurea di successo derivatagli da sette anni di lotta e circa 250 mila “martiri”, ha guidato – con una leadership militare – la costruzione nazionale, sostenuto da un elevato consenso popolare, almeno sino agli anni Ottanta. È a questo punto che qualcosa si è incrinato nel rapporto di fiducia tra lo Stato – o meglio il “FLN-Stato” – e la popolazione. Il modo in cui da quel momento le istituzioni si sono rapportate alla cittadinanza può essere individuato come l’origine dell’attuale e maggioritaria sfiducia nei confronti della “cosa pubblica”. Complice il crollo del costo del barile – in un paese che basa (ancora oggi) la propria bilancia economica sulle entrate derivanti dalle esportazioni di greggio e gas – il conseguente innalzamento dei prezzi dei beni di prima necessità, uniti a un vertiginoso aumento demografico, nell’ottobre 1988 immense manifestazioni inondarono le strade del paese, protestando contro il “tradimento” tout-court del regime a partito unico. Il seguito è storia per lo più tristemente nota: la riforma costituzionale e l’introduzione del multipartitismo (l’unica e antesignana Primavera algerina), la vittoria schiacciante del partito islamista alle legislative del 1991 (con un’affluenza al 60%) e poi la spirale di violenza iniziata con il colpo di Stato militare del 1992 seguito da dieci anni di una guerra civile tra ingenti forze di sicurezza e decine di migliaia di jihadisti, 150-200 mila morti e 7000 dispersi (numeri imprecisi in mancanza, allo stato attuale, di inchieste indipendenti).

Il FLN è ancora oggi il principale partito (insieme al “gemello”, Rassemblement nationale démocratique, RND) e pare essere lungi da quel ricambio generazionale naturale, che è stato invocato peraltro dallo stesso presidente Abdelaziz Bouteflika in un celebre discorso del 2013, durante il quale annunciò la sua dipartita. Salvo poi candidarsi nuovamente nel 2014 e quindi assumere per la quarta volta la più alta carica dello Stato, in una Repubblica ultra-presidenziale, come quella algerina, dove il Parlamento, l’APN, ha il compito di “registrare” leggi decise dal Consiglio dei ministri, che a sua volta “coordina” il programma presidenziale. Negli ultimi cinque anni alcuna legge proposta da maggioranza o opposizione dell’APN è stata adottata. A cosa serve il voto davanti a un sistema che si auto-perpetua e che si allontana sempre più dai suoi cittadini? I comprovati episodi di corruzione sin nei partiti e le minacce di brogli fanno da contorno alla disillusione dilagante, che affonda le sue radici nel mancato sviluppo, nonché nell’impunità e nell’assenza di “verità e giustizia” per le vittime del Decennio nero.

 

 

 

 

* Caterina Roggero, PhD in Storia internazionale, autrice di L'Algeria e il Maghreb. Guerra di Liberazione e unità regionale (Mimesis, Milano 2012). Si occupa di storia contemporanea del Nord Africa e delle relazioni euro-mediterranee collaborando con Istituti di ricerca e Fondazioni private. Tiene un laboratorio di Cooperazione internazionale presso l'Universita' Bicocca.