Ultimo Aggiornamento:
27 marzo 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

Dopo l’Italicum

Paolo Pombeni - 07.05.2015
Maria Elena Boschi

Il cosiddetto Italicum ora è legge a tutti gli effetti, ma, perdonateci il gioco di parole, adesso si comincerà a valutare che effetti è in grado di produrre. Ce ne sono di due tipi: quelli immediati per le modalità con cui è stato approvato; quelli che arriveranno quando verrà realmente messo alla prova in una tornata elettorale.

Sul primo fronte fioccano le previsioni di “Vietnam parlamentari” con bellicose dichiarazioni di personaggi che pensano di guadagnare così una centralità politica che non hanno. Quelli che la possiedono pur essendo in minoranza sono al momento piuttosto cauti. Far saltare il governo non sarebbe in questo momento produttivo per molti: non certo per il centro-destra che è in uno stato semi-confusionale, ma neppure per i nostalgici del radicalismo di sinistra (per non dire dei vecchi equilibri) che non si vede bene come potrebbero, in caso di elezioni a breve, gestire un passaggio con la normativa prevista dalla sentenza della Consulta: si tratterebbe di un autentico salto nel buio sia per la natura proporzionalistica di questa normativa, sia per il fatto che essa si applicherebbe, con effetti ancora meno prevedibili, al Senato che continuerebbe ad esistere.

Certo agli avversari di Renzi non mancano spazi in cui infilarsi. Le riforme, si sa, toccano tante situazioni acquisite, di cui tutti si lamentano, temendo però che ogni cambiamento peggiori le cose per cui meglio stare come si è. Lo si è visto chiaramente nello sciopero della scuola, dove è stato un tripudio di slogan vecchi e vuoti, ma che hanno ancora una buona presa sociale. Qui Renzi ha toccato con mano che neppure promesse oggettivamente spiazzanti come assunzioni per 100 mila posti, miglioramenti economici sia pure legati al merito (meno male!), spazi per una gestione più dinamica nella scelta degli insegnati (una cosa che potrebbe rendere le scuole più competitive), riescono a far presa. Infatti tutti vedono trucchi dietro l’angolo e rilevano che i motori del cambiamento (presidi, selezionatori, ecc.) non danno garanzie generalizzate di essere all’altezza del compito.

Dunque meglio rimanere come si è e continuare ad imprecare contro il “governo ladro” responsabile di uno sfascio a cui non si vuole nessuno metta mano per superarlo. E’ una specie di comma 22 delle riforme, un meccanismo che tocca qualsiasi tentativo di cambiamento, perché quello che si è messo emblematicamente in luce per la scuola vale per tutti gli altri comparti per cui si invocano le riforme.

Il populismo ovviamente sguazza in questo clima, basti pensare a Salvini che vuole occupare il ministero del Tesoro se non darà a tutti i pensionati, anche a quelli che hanno pensioni cospicue, quanto promesso da una lettura (superficiale) della sentenza della Consulta.

Renzi deve dunque muoversi in maniera da consolidare un ampio consenso popolare attorno alla sua proposta e qui entra in gioco la prova delle prossime elezioni amministrative: dall’indicazione che uscirà da quelle urne dipenderanno molti posizionamenti nelle schiere parlamentari.

Deve però occuparsi, proprio in quest’ottica, anche del cambiamento politico che l’Italicum introdurrà il giorno in cui si andrà davvero alle urne. Al contrario di quanto si crede, la nuova legge non blinda veramente la maggioranza, per la semplice ragione che non è detto che Renzi riesca a presentare una “lista” che realmente contenga solo candidati “suoi”. Per necessità, perché il premio si vince con un consenso che al momento il suo PD da solo non ha, e perché a lui converrebbe evitare il ballottaggio, dove le dinamiche sono più a rischio, farà entrare in lista esponenti di altre “componenti” che non potranno presentarsi con il loro nome, ma che non cesseranno di esistere come tali.

Ciò significa, regolamenti parlamentari alla mano, che una volta entrati alla Camera un certo numero di eletti nelle sue liste potrebbe chiedere di formare un “gruppo” proprio (bastano 20 deputati). Se ciò accadesse in misura consistente, il “premio alla lista” potrebbe vanificarsi, perché la nostra rimane una costituzione parlamentare e dunque una maggioranza in parlamento, quale che essa sia, può dare la fiducia ad una personalità diversa dal segretario-leader del partito che ha vinto le elezioni.

Non sarebbe una operazione semplice, ma non sarebbe impossibile, se ci fossero le solite “circostanze eccezionali” per giustificare un po’ di cambi di casacca (e in politica con un po’ di sforzo quelle alla fine si trovano …).

Dunque Renzi ha vinto una battaglia, indubbiamente importante, ma non ha ancora vinto la sua guerra. L’uomo ha carattere e intuito, dunque non è certo disarmato davanti al futuro, ma deve fare attenzione a non cadere nell’illusione di essere già il vincitore di tutta la partita.

Deve necessariamente lavorare su due fronti. Il primo riguarda il consolidamento della filosofia delle riforme. Non basta sapere che il paese le desidera da tempo, bisogna convincersi che se non si crea la fiducia che siano possibili in maniera equa finirà come stiamo vedendo in questi giorni. Il secondo concerne la necessità di operare in maniera più decisa alla creazione di un partito di tipo nuovo, perché a governare un fenomeno come quello della “lista a vocazione maggioritaria” non gli basta il vecchio apparato, militante e culturale, ereditato dalla fusione fredda fra PCI e Margherita.