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24 aprile 2024
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Donald Trump: quali sfide dopo l’insediamento?

Gianluca Pastori * - 25.01.2017
Donald e Melania Trump

Dopo il risultato in larga misura inatteso dello scorso novembre, l’insediamento del 20 gennaio ha fatto ufficialmente di Donald Trump il quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti. Le settimane che hanno preceduto l’‘inauguration day’ sono state segnata da numerose incertezze riguardo a quella che, negli anni a venire, potranno essere le scelte del nuovo Presidente; incertezze che sono state alimentate dalle audizioni sostenute di fronte al Senato dai membri della nuova amministrazione. In tale sede, contraddizioni sono emerse su diversi punti, sia fra la posizione dei diversi candidati, sia fra queste e quelle espresse da Trump in campagna elettorale e dopo l’elezione. Anche le attese per il discorso d’insediamento sono andate, in larga misura, deluse. I poco meno di diciotto minuti del discorso hanno sostanzialmente ricalcato le linee della campagna elettorale, confermando così, da una parte, i timori dei suoi oppositori, dall’altra i dubbi espressi da diversi osservatori. I primi giorni di quella che sembra destinata ad essere una delle presidenze più contestate nella storia recente degli Stati Uniti lasciano quindi aperta la porta a tutte le interpretazioni. E’ difficile, però, immaginare che il tycoon newyorkese riesca a trovare la sua vera ‘bussola politica’ in un appello generico come quello a ‘fare l’America nuovamente grande’. Nonostante la presa avuta suell’elettorato, tale appello si scontra, infatti, con la necessità di incarnarsi in politiche concrete, in campo interno some in campo internazionale. Esso si scontra, inoltre, con tutti i limiti di una politica che – almeno nelle dichiarazioni – sembra scommettere tutto sul ritiro degli Stati Uniti dal mondo e sul loro ripiegamento sui problemi interni.

Quelli che attendono gli Stati Uniti saranno quindi, con ogni probabilità, altri mesi ‘di assestamento’. Un assestamento reso più difficile dalle contestazioni che continuano a colpire il Presidente. Nella storia recente degli Stati Uniti non sono mancate figure di Presidenti controversi: da Richard ‘Tricky Dicky’ Nixon (1968-74) a George W. Bush (2001-2009), passando per Ronald Reagan (1981-89), la cui elezione ha sollevato, agli inizi degli anni Ottanta, critiche che la stampa non ha mancato di rilevare. Tuttavia, la mobilitazione degli ultimi mesi (che ha caratterizzato anche i giorni dell’insediamento) sembra assumere toni diversi. Prima ancora che alla politica del nuovo Presidente, essa appare indirizzata alla sua persona, a conferma tanto della crescente personalizzazione delle vita politica statunitense quanto della sua parallela polarizzazione. A tale processo hanno contribuito anche le scelte (poco ortodosse, quanto meno rispetto alla tempistica) compiute dall’amministrazione uscente su una serie di questioni sensibili, che spaziano dalla politica ambientale (con il bando alle trivellazioni petrolifere in una larga porzione dell’Artico e dell’Atlantico), alle relazioni con la Russia (con i provvedimenti presi in risposta alle presunte ingerenza del Cremlino nelle ultime elezioni presidenziali), alla politica in materia d’immigrazione (con l’abbandono del principio ‘wet foot, dry foot’ per gli immigrati provenienti da Cuba, principio ritenuto dall’amministrazione Obama un ostacolo alla definitiva normalizzazione dei rapporti con L’Avana). Non a caso, tali scelte hanno riguardato tutte snodi centrali di quella che dovrebbe essere la politica del nuovo Presidente, sia sul piano concreto che su quello simbolico.

Servirà, quindi, tempo per capire su quale via l’amministrazione Trump saprà realmente avviarsi. Se su alcuni punti della sua agenda interna (ridimensionamento del ruolo delle lobby nella vita politica nazionale, rinegoziazione dei trattati commerciali con l’estero, difesa dell’occupazione...)essa potrà forse contare sul sostegno di fette della minoranza democratica, sul più critico tema dalla collocazione internazionale del Paese essa dovrà essere in grado di trovare un difficile punto di equilibrio, sia al proprio interno, sia con un Congresso che sin dai giorni dell’elezione non si è mostrato troppo amico del nuovo Presidente. Questa chiave di lettura può forse essere utile anche per interpretare il senso del discorso con cui Trump ha scelto di aprire ufficialmente il suo mandato. Il ritorno ai temi ‘forti’ della campagna elettorale appare, in questa luce, il tentativo di ribadire una coerenza che – nelle scorse settimane – è apparsa spesso in dubbio. Nello stesso senso sembra andare la riscoperta della retorica incendiaria che durate la campagna elettorale il candidato Trump aveva riservato ai tradizionali alleati degli USA. Le recenti critiche rivolte alla Germania, il favore indirizzato alla Russia, le nuove riserve sollevate verso la NATO riprendono temi classici di un candidato che ha costruito buona parte del suo successo sull’idea di Stati Uniti in qualche modo autosufficienti e capaci di dettare (se non di imporre) la loro volontà al mondo. Fra i due aspetti esiste, tuttavia, una tensione evidente. In altra parole, è difficile che la nuova amministrazione riesca davvero a ‘fare l’America nuovamente grande’ se non mettendo da parte almeno alcuni di quelli che – sino ad oggi – sono stati i suoi più sicuri cavalli di battaglia.

 

 

 

 

* Gianluca Pastori è Professore associato di Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa, Facoltà di Scienze Politiche e Sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.