Ultimo Aggiornamento:
24 aprile 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

Aspettando Aleppo

Tadmur/Palmira

Nell’autunno del 2015 l’offensiva dell’esercito siriano, delle forze lealiste di Damasco con il sostegno massiccio di Iran, Russia e dei libanesi di Hizb’allah ha ri-equilibrato una situazione militare che vedeva sul campo il regime di Damasco in forte difficoltà. Le offensive dei ribelli nel nord-ovest del Paese, nella provincia di Idlib ai confini con la Turchia, a sud ai confini con la Giordania, ad est con l’avanzata dell’Organizzazione dello stato islamico che era giunto fino alla città di Tadmur/Palmira e la costante guerriglia nelle montagne che ad ovest dividono la Siria dal Libano avevano messo a serio repentaglio il potere di Damasco. Il coinvolgimento massiccio dell’aviazione russa e di suoi reparti sul campo ha permesso a Damasco di recuperare molto del terreno perduto nel 2015, mettendo in seria difficoltà le forze dei ribelli. Hanno messo in sicurezza la zona strategica della costa del Mediterraneo, hanno quasi cinto d’assedio le forze ribelli nella grande città di Aleppo minacciando le loro linee di rifornimento, e di fuga per la popolazione con la Turchia. Infine hanno ripreso la città di Tadmur/Palmira facendone un trofeo tanto reale quanto propagandistico. Nel nord, le forze curde espandono le aree sotto il controllo della cosiddetta rivoluzione della Rojava, contando sull’appoggio sia della Russia quanto sia Stati Uniti d’America, e una convergenza tattica con Damasco contro lo stato islamico e altri gruppi islamisti-jihadisti.

Da una posizione di forza, Mosca ha potuto negoziare una “cessazione delle ostilità”, o tregua, con Washington, l’ONU, Europei e Paesi medio orientali. Ha potuto così ritirare alcune delle sue forze aeree in quanto riteneva conclusa la fase di emergenza. Le Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitaria sono potute intervenire per dare un sollievo minimo alle popolazioni ancora sotto assedio. L’esercito di Damasco ha potuto prendere fiato a fronte di una mobilitazione ormai costante.

La tregua e la ripresa dei negoziati a Ginevra potevano essere l’occasione per trovare una soluzione politica di compromesso per contenere e poi riportare il conflitto armato in sede istituzionale. Così non è stato perché il regime di Damasco è ancora convinto di poter riconquistare manu militari l’intero Paese, o almeno riconquistare Aleppo per infliggere un colpo mortale alle opposizioni e i loro alleati medio orientali, e dunque piegarli alla sua volontà. Mosca guarda più ampio, perché oltre al salvataggio del suo alleato arabo, vuole usare il conflitto in Siria per negoziare la risoluzione del conflitto in Ucraina con gli Europei e gli Stati Uniti: la guerra in Siria è un fattore di destabilizzazione per l’Europa; dalla questione dei profughi, al terrorismo jihadista alle tensioni con la Turchia, solo Mosca oggi è in grado di condizionarne l’andamento grazie al suo intervento diretto. Tuttavia, al momento i governi europei non hanno modificato la posizione di chiusura sul dossier ucraino, non hanno capacità di influenza effettiva sul campo in Siria per cui non offrono a Mosca nessun incentivo per contenere l’alleato di Damasco. Se le forze populiste di destra continueranno ad affermarsi in Europa è probabile che aprano a Mosca sul dossier dell’Ucraina e delle sanzioni così come lascino alla Russia la gestione della crisi siriana. Da qui il via libera o la partecipazione alle recenti offensive dell’esercito siriano nella zona di Aleppo: tra gli ultimi eventi, il bombardamento dell’ospedale al Quds, ultimo centro pediatrico nelle zone controllate dai ribelli, il bombardamento del campo profughi vicino al confine con la Turchia; la chiusura dei negoziati con i ribelli nell’area di Homs. Tutte mosse legate al progetto, o alla speranza di poter riconquistare Aleppo, seconda città della Siria e spartiacque militare e politico del conflitto.

La situazione contingente è dunque favorevole all’alleanza Damasco-Mosca-Teheran, dove i due primi elementi sono oggi quelli centrali. Le forze ribelli, egemonizzate sul piano militare-politico dalle forze islamiste scontano profonde divisioni che ne riducono l’efficacia sul campo a fronte dell’esercito regolare siriano e dei suoi alleati iraniani e libanesi, ben armati e disciplinati, oppure delle forze della Rojava. Ciononostante, il quadro strategico non è ancora cambiato di molto. Nessuna forza è al momento in grado di vincere militarmente il conflitto in Siria e per la Siria. Le forze islamiste e jihadiste de “l’Esercito della Vittoria” nella provincia di Idlib nel nord-ovest si stanno riorganizzando per correre a difesa di Aleppo. L’Organizzazione dello stato islamico ha perso Palmira ma ha ripreso mano sui grandi bacini di gas naturale nella provincia centrale di Homs che alimentano la capitale Damasco. Il regime ha perso il controllo dei detenuti politici nel carcere di Hama che chiedono la liberazione se non ancora giudicati o rifiutano di essere trasferiti nel carcere militare di Sednaya, conosciuto per essere l’anticamera di una morte lenta e dolorosa.

Le cronache militari e politiche della Siria parlano il linguaggio della guerra, del terrorismo, dei massacri contro i civili. Raccontano dei profughi che si scontrano con i muri eretti dai governi conservatori, o razzisti, in Europa e Turchia. Tuttavia, riportano a malapena altri elementi che parlano invece di come nessuna delle forze in Siria sia in grado di imporsi come autorità politica esclusiva. Le mobilitazioni civiche del 2011 così come le esperienze di auto-organizzazione, se non di vero e proprio auto-governo locale, costituiscono un bagaglio di vissuti e di formazione professionale sul campo che sostiene il lavoro degli attivisti non-violenti e democratici sia nelle zone del regime sia in quelle dei ribelli o dell’Organizzazione dello stato islamico. Come continua a documentare il giornalista e arabista Lorenzo Trombetta nel suo ultimo dossier. Una visione realista dei processi in corso considera certamente gli equilibri militari e internazionali ma dovrebbe leggere con attenzione anche come si dispiega sul campo l’esercizio del potere e la costruzione di nuove relazioni sociali. Forse, allora, Siria non sarebbe solo sinonimo di dramma e disorientamento.