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27 marzo 2024
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Al via la seconda tappa della gara finale di Renzi

Paolo Pombeni - 21.04.2016
Gianni Cuperlo e Matteo Renzi

Con la sceneggiata per la mozione di sfiducia al governo svoltasi al Senato martedì 19 aprile ha preso il via la seconda tappa della gara al cui traguardo sta la vittoria o la sconfitta del “cambio di verso” imposto da Renzi col suo arrivo al potere.

In quel caso non c’era partita in materia di risultato, ma serviva per scaldarsi i muscoli in preparazione della terza tappa (le amministrative di giugno) e della quarta (il referendum sulla riforma costituzionale di ottobre). Soprattutto si è potuto saggiare a quali tattiche si ispirino i vari attori, almeno in questa prima fase, anche se va sempre tenuto conto che quando i confronti sono sostanzialmente simbolici come in questo caso tutti si lasciano andare alla spettacolarizzazione.

La prima sorpresa è venuta dalla pochezza delle opposizioni sia di destra che di sinistra. Si sono sentiti insulti, fantasie galoppanti, rodomontate, ma nessun serio argomentare. Difficile immaginare che con questo approccio le opposizioni vadano oltre i consensi che già hanno raccolto, soprattutto difficile credere che possano recuperare voti nell’ampia sacca dell’astensionismo. Da questo punto di vista il referendum anti trivelle ha fatto intuire quanto sia problematico immaginarsi che l’astensionismo derivi da un disgusto per una politica di basso profilo, perché se invece la politica riprendesse la sua capacità di battaglia la gente tornerebbe alle urne. Se quest’ipotesi fosse credibile un quesito come quello finto ambientalista sulle trivelle avrebbe risvegliato quel tipo di delusi facendoli tornare alle urne, proprio per dare una lezione a chi era stato causa della loro delusione. Invece così non è stato, dunque c’è da pensare che almeno per un certo periodo la fuga dalle urne sia un dato destinato a persistere.

Dunque non è da un incremento della radicalizzazione politica che le opposizioni a Renzi possono trarre occasioni di accrescimento. E’ già molto se con quella strategia terranno legati a sé gli attuali simpatizzanti. Un po’ alcuni si stanno accorgendo di come siamo messi: persino Salvini cerca di mischiare i consueti argomenti lepenisti con un po’ di buonismo moderato (asili gratis, più gente in pensione, ecc.), ma gli stessi Cinque Stelle oscillano fra intemerate nello stile consueto e promesse di dedicarsi alla buona politica (soprattutto a Roma).

L’estrema sinistra invece non sente ragioni. E sì che Bertinotti ha ritrovato il popolo in CL e questo dovrebbe pure farli riflettere, ma non se ne vede traccia. L’identità di quella componente sembra essere una coazione a ripetere la pantomima dell’epurazione dei traditori del popolo, accusando Renzi di non essere per nulla di sinistra. Buon argomento da talk show per Sgarbi, Freccero e compagni, ma arma spuntata per uscire dal recinto delle percentuali da minoranza marginale.

Quanto alla sinistra interna al PD, è ancora alle prese con l’assenza assordante di un leader degno di questo nome. Cuperlo può consolarsi negando quel titolo anche a Renzi, ma così non va da nessuna parte, soprattutto perché se scegliesse di far cadere il premier (ammesso e non concesso che ne abbia la forza) non sarebbe poi in grado di trarre vantaggio da quell’operazione.

Rimane da valutare la risposta di Renzi a questa coalizione anomala con cui si trova a combattere. In senato non ha rinunciato ad attaccare gli avversari. L’impresa non era difficile data la pochezza degli argomenti che gli erano stati contrapposti e considerando che una opposizione-ammucchiata non è esattamente quel tipo di competitore che attira le simpatie degli spettatori.

In realtà si intuisce che il premier sta organizzando qualcosa di più articolato: ha irrobustito il fondo per il risarcimento dei risparmiatori coinvolti nel crack delle banche (definirli tutti “truffati” è forse eccessivo); mette quantomeno in cantiere un dibattito sulla questione pensionistica; cerca di promuovere interventi nei più vari settori. Insomma vuole sfruttare i poteri che il governo ha di realizzare “qualcosa” per inchiodare i suoi avversari nel ruolo dei predicatori a vuoto.

Potrebbe essere una strategia che paga, se non fosse che da un lato il suo protagonismo e dall’altro una compagine governativa che non è fatta tutta di personaggi all’altezza della situazione rendono un po’ difficile far percepire ad un largo pubblico quanto si sta realizzando. E’ qui che Renzi sperimenta la mancanza di “cinghie di trasmissione” fra il governo e l’opinione pubblica, perché lui da solo non è sufficiente per quel compito, che fra il resto lo espone alle intemerate di satire televisive sempre più populiste e qualunquiste. Avrebbe bisogno se non di un partito vecchia maniera, impossibile da resuscitare, di inventarsi qualcosa che assolvesse a quella funzione di traino.

Si dice che ci stia ragionando in vista del referendum di ottobre. Meglio tardi che mai, ma sapendo che l’operazione tardiva è ancor più difficile e dunque richiede la cautela di non cadere nelle mani di quanti vogliono solo un posto in palcoscenico al suo fianco.