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6-13 dicembre 2015: il “laboratorio francese” e le sue molte incognite

Michele Marchi - 05.12.2015
Les Républicains e Nicolas Sarkozy

Se diffondersi in previsioni prima di un test elettorale è un’arte alla quale sempre più si sottraggono anche sondaggisti e politologi, a maggior ragione non pronosticabile appare l’esito del voto regionale francese del 6-13 dicembre prossimi.

Ben prima dei tragici eventi del 13 novembre scorso, l’annunciata dirompente vittoria della destra repubblicana guidata da Les Républicains di Sarkozy, era stata almeno in parte messa in dubbio sia dalla continua risalita del FN nei sondaggi, sia dai segnali di parziale ripresa della gauche almeno in alcuni contesti regionali del centro e dell’ovest del Paese. La rinnovata carta regionale, con il passaggio da 22 a 13 macro-regioni, è un elemento di novità che costituisce, senza dubbio, un fattore di ulteriore complicazione nella lettura del voto. I drammatici fatti di metà novembre hanno definitivamente sconvolto il quadro. Hanno messo intanto, per una decina di giorni, in secondo piano la campagna elettorale e contemporaneamente fatto risalire il livello di fiducia nel Presidente della Repubblica, impegnato nella lotta al terrorismo ed emblema di un diffuso spirito di union sacrée. Allo stesso tempo hanno reso ancora più centrali parole d’ordine quali sicurezza, lotta all’islamismo radicale, identità nazionale e contrasto all’immigrazione, tipiche della narrazione frontista e di conseguenza hanno così posto i partiti di governo (PS, LR e centristi) in una situazione ancora più complicata.

In un quadro fluido e incerto si possono comunque avanzare due ordini di considerazioni.

La prima è di natura storica e riguarda nel complesso il voto regionale dal 1986 (anno della prima elezione a suffragio universale diretto dei consigli regionali dopo le riforme socialiste di decentralizzazione del 1982 e 1985) ad oggi. Nei cinque precedenti il voto regionale si è sempre caratterizzato (se si eccettua in parte il 1998, sul quale si tornerà tra poco) come voto sanzione nei confronti delle forze politiche al governo del Paese. Bisogna anche ricordare che nella maggior parte dei casi le regionali sono state accorpate ad altre elezioni, ad esempio le legislative nel 1986, o le cantonali nel 1992 e nel 2004, accentuandone dunque il significato di elezioni di second’ordine. Non è il caso di questa tornata 2015, che peraltro si presenta come l’ultimo voto nazionale prima delle presidenziali del 2017. L’accorpamento in particolare con altre elezioni locali ha inoltre accentuato il livello di astensionismo e anche al primo turno di domenica, se si dovesse superare abbondantemente il 50% degli aventi diritto, si tratterebbe di un successo.

Ma tornando alla questione del voto sanzione, il dato risulta evidente nel 1986, a beneficio della destra che oltre a vincere le elezioni legislative e ad avviare la prima coabitazione portando Chirac a Matignon con Mitterrand all’Eliseo, conquista anche 20 regioni su 22 (anche se in cinque di queste determinanti per l’elezione del presidente della regione sono i consiglieri FN). Il 1992 costituisce il preludio alla seconda grande coabitazione dell’anno successivo. Addirittura il PS resta con la guida della sola regione Limousin, perché quella del Nord rimane a guida della gauche ma con un presidente ecologista (proprio i verdi ottengono un ottimo 14,5 % a livello nazionale). A queste due debacle della sinistra, alla guida del Paese a livello nazionale e sanzionata a livello regionale, fanno da contraltare le due sconfitte patite dalla destra nel 2004 e nel 2010. Nel primo caso la destra resta con il controllo soltanto di Corsica e Alsazia e addirittura sei ministri dell’allora governo Raffarin, capilista in altrettante regioni, sonoramente battuti. Nel 2010, con Sarkozy all’Eliseo e Fillon a Matignon, la sinistra arriva addirittura vicina al “cappotto” e infatti ad oggi l’unica regione guidata dalla destra repubblicana è l’Alsazia. Al voto 2010 sono stati addirittura otto i ministri del governo Fillon ad essere sconfitti come capilista regionali. Il 1998, al quale si faceva riferimento in precedenza, è un anno particolare. Si è votato l’anno successivo allo sciagurato scioglimento anticipato voluto da Chirac e dunque ancora sull’onda lunga della vittoria della gauche plurielle di Jospin. L’allora RPR e il PS ottengono più o meno lo stesso risultato (si attestano attorno al 40%) e se cinque regioni passano da destra a sinistra, a fare notizia è la decisione di sei presidenti di regione del partito giscardiano UDF che accettano di essere eletti grazie al voto decisivo dei consiglieri di un FN salito al 15% a livello nazionale. A seguito di un intervento polemico di Chirac, in chiave anti-FN, uno dei presidenti deciderà di dimettersi, ma ad ogni modo lo spettro del carattere decisivo degli eletti FN nei consigli regionali comincia ad essere ben presente.

Ad ogni modo se si dovesse guardare al dato storico e lo si dovesse accostare ai molti sondaggi odierni, tutti molto concordi nel certificare l’arretramento socialista, il voto regionale del 6-13 dicembre dovrebbe essenzialmente rivelarsi una competizione tra destra repubblicana ed estrema destra frontista. Se si passa però al secondo gruppo di considerazioni, questa volta di carattere più propriamente congiunturale, interrogativi e questioni aperte rendono il quadro meno univoco.

Un primo interrogativo riguarda l’impatto che realmente avrà sul voto, ed in particolare sul PS, la risalita, di oltre venti punti, del livello di fiducia di François Hollande. Quanto vi è di legato al desiderio di union sacrée di fronte alla minaccia terroristica? La risalita del “comandante in capo” non sembrerebbe giovare particolarmente al PS, anche perché l’enfasi sulla sicurezza e sullo stato di emergenza portati avanti dal Presidente, non sono temi di particolare presa per l’elettorato socialista, né tanto meno per l’area dell’estrema sinistra, non a caso già molto critica nei confronti dello stesso Hollande e comunque autonoma praticamente in ogni regione rispetto alle liste socialiste.

Un secondo interrogativo è proprio quello riguardante la grande frammentazione a sinistra, al quale si contrappone l’unità della destra repubblicana e del centro, fortemente voluta da Sarkozy una volta tornato sulla scena pubblica dopo la sconfitta del 2012. Una sinistra così frammentata rischia di piazzare il candidato socialista al secondo, ma molto più spesso al terzo posto, anche in regioni potenzialmente contendibili come la Bretagne, l’Aquitaine-Limousin-Poitou-Charentes e la Midi-Pyrénées-Languedoc-Roussillon.

Questa considerazione è utile per introdurre una terza questione, che quasi certamente finirà per occupare tutte le analisi e i dibattiti tra il primo ed il secondo turno. Di fronte all’ipotesi di un FN con possibilità di vittoria se, come pare, la lista socialista si presenterà quasi ovunque in terza posizione o comunque con scarse o nulle possibilità di vittoria, quale attitudine tenere? Mantenere la lista al secondo turno per evitare di scomparire in quel consiglio regionale ma allo stesso modo rendersi corresponsabile di una possibile vittoria FN nel triangolare? Ritirare la propria lista dando indicazione più o meno esplicita di voto per il candidato “repubblicano” (cioè LR o centrista), contribuendo così eventualmente a sbarrare la strada al candidato frontista, ma restando in quella regione senza rappresentanza per sei anni? O infine avviare un accordo tecnico con la destra repubblicana per fondere la propria lista con quella meglio piazzata di destra? Quest’ultima ipotesi avrebbe necessitato di una preparazione politica precedente che il primo ministro Valls pareva aver avviato (parlando di assunzione di responsabilità da parte di tutti per contrastare il FN), ma che si è progressivamente eclissata per due ragioni principali. Da un lato i vertici del PS non sembrano averla apprezzata, convinti della necessità di un approccio tattico e legato all’esito del primo turno e variabile a seconda del contesto regionale specifico. Dall’altro lato lo stesso Hollande ha contribuito a creare, con i suoi inviti rivolti a Marine Le Pen all’Eliseo all’indomani dei fatti di Parigi e alla cerimonia degli Invalides e con le scelte in materia di sicurezza non dissimili da quelle preconizzate dallo stesso FN, un clima di non delegittimazione dello stesso partito di estrema destra che mal si accosterebbe poi alla logica del barrage républicain contro candidati frontisti giudicati impresentabili, sulla falsariga di ciò che avvenne al ballottaggio presidenziale del 2002.

 

Le ultime due incognite riguardano proprio destra repubblicana e FN.

Rispetto alla prima, bisogna rilevare che Sarkozy ha fatto scelte piuttosto ondivaghe all’indomani dei fatti di Parigi. Dopo una serie di attacchi frontali al presidente in carica e dopo essere stato ripreso dai consiglieri a lui più vicini, ha adottato una approccio più istituzionale, anche se in privato si è lasciato andare a critiche aspre nei riguardi dell’inquilino dell’Eliseo, accusato di sfruttare la tragicità del momento per depotenziare una campagna elettorale che avrebbe dovuto condurre il suo partito alla definitiva debacle elettorale, in un quinquennato già non avaro di sconfitte. Allo stesso tempo Sarkozy si è reso conto sia della porosità a destra del suo elettorato, sia della difficoltà di imporre una propria agenda elettorale, fatta di un mix equilibrato di questioni locali e di attacchi al potere socialista, nel momento in cui i temi della sicurezza, della lotta all’immigrazione, della critica all’Ue e del necessario contrasto all’islamismo radicale, solitamente ascrivibili all’ampia area dei simpatizzanti frontisti, sono stati trasformati dall’“acceleratore 13 novembre” in temi di dibattito comune e diffuso.

L’ultimo interrogativo riguarda il FN. Marine Le Pen ha svolto un lavoro imponente per la progressiva dédiabolisation del partito, tanto che oramai i principali esperti di questioni elettorali certificano il voto FN come voto di adesione (e non più solo di mera protesta) e di conseguenza molto meno volatile. L’elettorato frontista si caratterizza sempre più per il suo essere fedele e facilmente mobilitabile. In un voto con probabile alto astensionismo risulta determinante portare tutti i propri elettori alle urne, mentre i cosiddetti indecisi hanno un peso minore rispetto a quello nelle competizioni nazionali e spesso si astengono. Congiuntura e tipo di scrutinio (non dimentichiamo che si vota con il sistema proporzionale a livello di regione e soglia di sbarramento al 10%) sono senza dubbio dalla parte del FN. I sondaggi, ancora una volta da maneggiare con cura, parlano di due regioni quasi certe, cioè la Nord-Pas-de-Calais-Picardie e la Provece-Alpes-Cotes-d’Azur della coppia zia-nipote Marine e Marion Maréchal Le Pen (scenario plausibile), e due possibili conquiste, la Bourgogne-Franche-Comté e la Normandie (scenario più complicato da realizzarsi); ma soprattutto di un FN ovunque oltre il 20%, in molte aree sopra il 30% e nei due bastioni del nord e del Mediterraneo, addirittura abbondantemente oltre il 40%. Il voto sarà altresì un banco di prova per rendersi conto se alla dédiabolisation corrisponde anche una maggiore crédibilisation del FN. In sostanza il partito è pronto a garantire, seppur a livello regionale, il governo del Paese? Su questo fronte non pochi dubbi permangono, ad esempio sulle proposte economiche del partito di Marine Le Pen. Come ha ricordato con un certo sarcasmo il presidente del Medef Pierre Gattaz, abbassamento dell’età pensionabile, uscita dall’euro, aumento delle spese sociali e generoso salario minimo garantito, sono ricette più da programma comune della gauche del 1981 che da partito del secondo decennio del XXI secolo.

Considerato il quadro nel suo complesso, il voto del 6-13 dicembre rappresenta un possibile momento di  disvelamento di una serie di criticità che da tempo si mostrano sottotraccia nel sistema politico francese. L’idea che ad un sostanziale bipolarismo, piegato in direzione bipartitica in particolare a seguito delle revisioni costituzionali del 2000 e 2008, possa sostituirsi una sorta di tripolarismo PS-LR-FN potrebbe essere confermata ed offrire spunti in vista del traguardo del 2017. Se ad un ottimo risultato in genere del FN si dovesse poi aggiungere la sua vittoria in una o più regioni, il 13 dicembre 2015 si tramuterebbe non solo nel triste primo anniversario mensile dai tragici fatti di Parigi, ma anche in un nuovo momento di protagonismo della politica francese a livello europeo e mondiale, ancora una volta nella direzione della chiusura e del populismo. Insomma il “laboratorio francese” potrebbe mostrarci di nuovo alcuni “demoni” sui quali l’Europa nel suo complesso sarebbe chiamata a riflettere con attenzione.