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17 aprile 2024
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Argomenti

Il made in Italy agroalimentare, l’Onu e il prosciutto San Daniele

- 12.01.2019

L’impegno della nostra diplomazia è riuscito ad evitare lo stigma dell’Onu che avrebbe potuto mettere in difficoltà i nostri gioielli del settore agroalimentare quali il parmigiano, il prosciutto e perfino l’olio d’oliva.  La risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu del 13 dicembre dello scorso anno non ha infatti dato seguito al suggerimento contenuto nel rapporto sulle malattie non infettive “Time to deliver” della alta commissione della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) pubblicato questa estate, nel quale si invitavano (nel capitolo 4: Collaborare e regolare, paragrafo D) i governi  a limitare la vendita di cibi definiti dannosi perché contenenti eccessive quantità di zuccheri, sodio e grassi saturi. La risoluzione Onu permette al settore agroalimentare di tirare un sospiro di sollievo. Ma non è una vera vittoria. Le raccomandazioni che vengono dalla OMS rimangono. Alcuni paesi le hanno già fatte proprie accompagnando le confezioni dei cibi con indicazioni sul presunto grado di pericolosità alimentare. Altri seguiranno. Si possono sollevare molte critiche contro il rapporto della OMS ma con questo occorre fare i conti. Perché? In molti paesi del globo soprattutto quelli ad alto reddito e propensione a spesa di qualità la coscienza sanitaria-dietetica è sempre più diffusa. L’attenzione alla qualità leggi tutto

Quale futuro per l’Ue tra Berlino e Parigi

Lucrezia Ranieri * - 14.11.2018

Che l’Unione Europea permanga da molto tempo in uno stato a dir poco confusionale sembra un fatto ormai acclarato. Di tutte le questioni da tempo in esame a Bruxelles non sembra essercene una che sollevi un minimo di consenso condiviso, o della quale si prospetti una soluzione a breve termine. Ad un anno dall’inizio dei negoziati, l’accordo sulla Brexit appare ancora lontanissimo e i malumori sulla questione migranti sono tutt’altro che sopiti; quanto alla questione finanziaria, il braccio di ferro tra le pretese di spesa del governo italiano e l’indisponibilità della Commissione ha riportato a galla, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’evidenza di una permanente frattura tra le culture economiche dei paesi europei che rende assai difficile l’avanzare di un progetto comune di riforma dell’eurozona. Alle tensioni interne si aggiunge inoltre il globale deperimento del consenso verso quella forma di internazionalismo liberale nella quale l’Unione Europea stessa affonda le sue radici. Se l’ondata di elezioni nazionali del 2017 era stata anticipata, come un presagio, dall’elezione di Donald Trump, a gettare la sua ombra sull’Atlantico, questa volta, è l’ascesa alla presidenza brasiliana di Jair Bolsonaro. È in questo scenario poco roseo che ci si prepara ad affrontare una dura stagione di campagna leggi tutto

L’era Merkel al tramonto

Gabriele D'Ottavio - 31.10.2018

L’era Merkel finisce così com’è iniziata: dopo un’elezione regionale. Per chi ha buona memoria, la sua ascesa al potere cominciò con una bruciante sconfitta elettorale subita dai socialdemocratici nel maggio 2005 in Nordreno-Westfalia, uno dei Länder più popolosi e ricchi della Germania. All’epoca, la SPD governava il Land da 39 anni e il suo leader nazionale, il cancelliere in carica Gerhard Schröder, decise di ricorrere al voto anticipato. Il pareggio strappato ai cristiano-democratici alle elezioni politiche del settembre successivo e la partecipazione al primo governo di grande coalizione guidato da Angela Merkel si sarebbero dimostrati di lì a poco una vittoria di Pirro. I socialdemocratici non riuscirono ad arrestare l’emorragia di consensi, mentre la cancelliera riuscì in poco tempo a consolidare la sua leadership, gettando le basi per diventare uno dei capi del governo più longevi nella storia della Germania del dopoguerra. 

Tredici anni dopo, le elezioni regionali in Baviera e in Assia sembrano delineare una nuova cesura storica. Il risultato parla chiaro: gli elettori hanno sanzionato duramente i cristiano-sociali della CSU in Baviera, i cristiano-democratici della CDU in Assia e i socialdemocratici della SPD in entrambe le regioni, mandando un messaggio difficilmente equivocabile a Berlino. Secondo un sondaggio dell’emittente leggi tutto

Le democrazie e la crisi economica (1)

Luca Tentoni - 27.10.2018

Dopo aver approfondito, negli interventi dedicati al voto del 4 marzo in Italia, gli aspetti relativi alla formazione e alla distribuzione del consenso nel nostro Paese, passiamo ad occuparci di un orizzonte più vasto: le democrazie dell'Europa del Sud. In Spagna, Grecia, Portogallo e Italia la crisi economica del 2008 e il decennio convulso che l'ha accompagnata e seguita hanno prodotto trasformazioni sia nel sistema dei partiti, sia nel rapporto fra cittadini e istituzioni, sia sulla partecipazione politica. In questo breve, nuovo viaggio, articolato in due puntate, la nostra analisi sarà agevolata dalla lettura di due volumi appena usciti per il Mulino: "Le quattro crisi della Spagna" di Anna Bosco; "Come la crisi economica cambia la democrazia" di Leonardo Morlino e Francesco Raniolo. Per comprendere meglio il voto italiano del 4 marzo 2018 non si può prescindere dal contesto europeo. In questo caso, partiamo dalla Spagna, nella quale - fra settembre del 2015 e dicembre del 2017 - si sono svolte quattro consultazioni cruciali: le elezioni regionali in Catalogna (27 settembre 2015) vinte dai partiti indipendentisti che - come spiega Anna Bosco, "aprono una legislatura di pre-indipendenza che si conclude con la convocazione di un referendum sulla secessione dalla Spagna (1° ottobre 2017) e una dichiarazione unilaterale di indipendenza (27 ottobre)" alla quale il leggi tutto

Un nuovo paradigma

Stefano Zan * - 27.10.2018

La prima sensazione che molti provano di fronte alla nuova maggioranza di governo è di incredulità: come è possibile che questi signori abbiano vinto le elezioni, abbiano formato un governo improbabile e continuino ad aumentare il loro consenso? Non è così che si fa politica! Un vero e proprio scandalo cognitivo prima ancora che di merito di fronte al quale si resta disorientati, come di fronte a tutti gli scandali, perché saltano i tradizionali e confortevoli nessi causa-effetto. Le elezioni si possono vincere o perdere ma non in questo modo.

Si prova la stessa sensazione dello Stato Maggiore francese che dopo aver investito tutto nella costruzione della linea Maginot in poche ore si è trovato circondato dai tedeschi passati con i carri armati dalle Ardenne: non è così che si fa la guerra, hanno detto i francesi. Eppure gli altri hanno vinto.

Con le elezioni del 4 marzo forse è successo qualcosa di veramente nuovo che fatichiamo a capire.

I canoni classici del voto di protesta che regolarmente punisce chi sta al governo non tengono più di tanto così come non tengono, le autocritiche degli sconfitti che continuano a chiedersi dove hanno perso e in cosa hanno sbagliato, mantenendo però le tradizionali chiavi di lettura. leggi tutto

“Veloce la vita”, o dell’impossibilità di evitare la Storia

Giovanni Bernardini - 24.10.2018

Stolpersteine, “pietre d’inciampo”. Così si chiamano i piccoli blocchi di pietra ricoperti d’ottone e disseminati tra i selciati di tante città europee. Il loro compito è quello di ricordare anche al passante più distratto che proprio lì, a pochi metri, hanno vissuto vittime di una violenza cieca e sistematica, che essi non erano una massa indistinta ma uomini e donne con dei nomi, delle date di nascita e soprattutto di uccisione o di deportazione verso luoghi da cui non hanno fatto ritorno. Louise, la protagonista del romanzo “Veloce la vita” dell’autrice francese Sylvie Schenk (Keller, 2018), vive in un’epoca precedente di decenni quella in cui, alla fine del Ventesimo Secolo, le pietre d’inciampo sono state inventate. Eppure la sua traiettoria esistenziale è destinata suo malgrado a inciampare continuamente nella Storia. Una storia recente e per molti versi ancora attuale, che però lei vorrebbe semplicemente continuare a schivare perché non intralci i suoi piani. Louise è giovane, lascia le montagne tra cui è cresciuta felicemente ma fin troppo costretta nelle dinamiche medioborghesi della famiglia, certamente più di quanto la sua febbre di vita le consenta di sopportare. L’università le fornisce la migliore occasione di fuga, verso una Lione che negli anni ’60 appare in pieno fermento leggi tutto

Ceta, nuove ragioni per ratificare

Gianpaolo Rossini - 13.10.2018

Sui media si riportano in queste settimane stralci del bilancio della Commissione Europea sul primo anno di applicazione del Ceta, accordo di libero scambio tra UE e Canada entrato in vigore il 21 settembre 2017. Il Ceta si basa su 7 punti principali 1. abolizione del 98% dei dazi doganali tra Canada e UE con riconoscimento e protezione di 143 denominazioni geografiche d’origine europee in campo alimentare (di cui 41 italiane) 2. apertura dei rispettivi mercati allo scambio di servizi di trasporto, finanziari, bancari, comunicazioni, professionali come quelli ingegneristici, quelli legali e altri 3. Accesso agli appalti pubblici di tutte le imprese delle due aree 4. snellimento delle norme su investimenti diretti 5. miglioramento della protezione della proprietà intellettuale (copyright e brevetti) 6. standard comuni per ambiente e rispetto dei diritti dei lavoratori 7. più facile entrata nei mercati di Canada e UE per le piccole imprese, soprattutto grazie a procedure doganali ridotte e requisiti tecnici semplificati.

Il bilancio del primo anno è stato positivo per gran parte dei settori economici, come afferma la commissaria UE al commercio internazionale la svedese Malmstrom. Uno dei prodotti italiani che ha visto incrementare di più le sue vendite è il prosciutto di San Daniele Dop, uno dei fiori all’occhiello del made in Italy alimentare, che in un anno leggi tutto

Sfida all’Europa?

Paolo Pombeni - 10.10.2018

Ormai si parla sempre più apertamente di una sfida all’Unione Europea da parte dei due partiti di governo. C’è qualche andirivieni retorico, giusto per alzare un po’ di polvere, ma la sostanza è piuttosto chiara. In risposta le forze di opposizione all’attuale maggioranza riscoprono un europeismo di maniera, aggiustato ovviamente dalla precisazione che comunque questa Europa andrà rifatta.

Non è però ben chiaro come gli uni e gli altri intendano davvero muoversi in un contesto che è gravido di incognite e che non lascia intravvedere molte occasioni di formare realistici blocchi di forze unite da obiettivi comuni.

Iniziamo dai partiti al governo. Scommettono che il futuro parlamento europeo sarà dominato da componenti di orientamento ben diverso da quello attuale. Anche se ciò avvenisse, e non è detto perché le elezioni europee sono delle cabale, non c’è prova che si tratterebbe di forze che poi convergerebbero su linee comuni. L’attesa che esse si uniscano a smantellare la costruzione attuale è ingenua. La UE è un formidabile centro per manovre politiche e per cavare risorse a proprio vantaggio. Come sempre succede, i nuovi dominatori vorranno semplicemente usare a proprio vantaggio queste opportunità e scopriranno di essere in conflitto fra di loro. Cancellare l’euro per tornare alle monete nazionali leggi tutto

Appunti sulle elezioni europee, a otto mesi dal voto

Luca Tentoni - 29.09.2018

Alla fine di maggio del 2019, gli italiani saranno chiamati per la nona volta ad eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo, ma forse sarà la prima occasione, a quaranta anni dal voto del ‘79, per esprimere davvero un'opinione sull'Europa. È vero che in passato ci furono momenti di grande coinvolgimento, come appunto il voto del 10 giugno 1979 (una settimana dopo le elezioni politiche: fu la prima prova di partecipazione popolare - con un'affluenza dell'86,1% sul territorio nazionale - alla vita di quella che allora era la CEE) e quello del 18 giugno 1989 (col contemporaneo referendum consultivo pro-Europa, che ebbe un sì plebiscitario), ma è anche vero che gli italiani hanno sempre utilizzato le "europee" per esperimenti politici (voti "in libera uscita": nel 1979 verso Pli e Radicali, nel 1984 verso il Pci in memoria di Berlinguer, nel 1989 verso i Verdi e la Lega lombarda, nel 1994 portando Forza Italia al 30%, nel 1999 premiando i Democratici di Prodi e la lista Bonino, nel 2009 rafforzando l'Idv dipietrista e nel 2014 facendo arrivare il Pd di Renzi al 40,8%), considerandole appuntamenti poco importanti. Lo scarso interesse verso il voto europeo è stato testimoniato dal crollo della partecipazione popolare, più marcato rispetto a quello delle politiche: nel 1979, il 3 giugno, l'affluenza alle urne per il rinnovo della Camera dei leggi tutto

L'incerto destino delle forze tradizionali

Luca Tentoni - 28.07.2018

La crisi delle “famiglie politiche” tradizionali in Italia e in molti paesi dell'UE non consegnerà la maggioranza del prossimo Europarlamento ai partiti sovranisti, però - com'è stato dimostrato da alcune proiezioni - rafforzerà decisamente il ruolo dei soggetti "anti sistema". In Italia, l'opposizione (dalla quale escludiamo FdI, non solo per l'astensione nei confronti del governo Conte, ma per la consonanza che ha su molti temi con la Lega e con i movimenti della destra sovranista europea) è divisa e disorientata. Forza Italia è costretta a subire l'offensiva di Salvini (che sta sottraendo al partito del Cavaliere molti voti e sembra in grado di intaccare, alla lunga, gli stessi gruppi parlamentari azzurri), ma non può rispondere competendo sullo stesso terreno. Nè, d'altro canto, Berlusconi può puntare tutto sul PPE e sulla "ex nemica" Merkel (la quale, in patria, non sta vivendo un momento facile) e neppure su quella che era una caratteristica forte dell'elettorato italiano, l'europeismo (che però nel centrodestra è sempre stato più flebile che nel centro e nel centrosinistra). Altrove, le cose non vanno meglio: i modelli della sinistra potrebbero essere Corbyn e Sanchez, come a suo tempo lo fu Tsipras (senza contare Podemos o La France Insoumise, ancora meno avvicinabili alla realtà italiana), leggi tutto